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(Testo di Renzo Renier)
Gli scacchi sono forse il gioco più conosciuto e più diffuso che esista. Indubbiamente in ogni casa si possono trovare una scacchiera e trentadue pezzi di tutte le fogge e dimensioni, magari compresi in una di quelle scatole che raccolgono più giochi. Quindi il gioco degli scacchi, presente in quasi tutte le famiglie, è praticato più spesso nei bar e negli oratori e d’abitudine nei circoli.
Le origini
Dove e quando gli scacchi sono venuti al mondo non è certo. Alcuni archeologi e ricercatori avanzano l’idea, peraltro poco condivisa, che la culla del gioco si trovi in Cina, datata più o meno attorno al 1000 a.C. Al giorno d’oggi le teorie più affermate fanno ritenere che gli scacchi siano nati in India nel VI secolo d.C. come gioco di guerra, evoluzione di giochi similari precedenti. La simulazione della guerra ne fece adottare le figure delle quattro parti dell’esercito indiano: fanti, cavalli, elefanti e carri.
La scacchiera merita un cenno a parte. Si suppone che questo reticolo quadrato, suddiviso in sessantaquattro quadretti tutti uguali, sia nato molto prima degli scacchi. In seguito assunse valore fantastico o religioso, “scenario magico, simbolo della Terra e dell’intero Cosmo” (1), creato nel tentativo di vincere la paura dell’incognito. Diventa gioco quando esce dalla potestà religiosa, ma restò a rappresentare all’uomo l’eterno conflitto fra la sua volontà e il caso imperscrutabile.
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Tornando al gioco, nel tardo VI sec. gli scacchi arrivano in Persia, portati più probabilmente dalle carovane dei mercanti piuttosto che come dono degli Indiani al Re Crosroe I.
Nell’immagine di fianco, il Re Crosroe I osserva il suo Visir giocare a scacchi.
I Persiani accolsero gli scacchi con favore. La loro raffinatissima cultura letteraria ne fece l’oggetto di molti scritti, in genere poemi. In Persia gli scacchi ricevettero il loro nome attuale. La parola “scacco” deriva dal nome del Re persiano, “Scià”. Ad esempio, “scacco matto” deriva dalle parole “Shah mat” il cui significato è “ il Re è morto” o qualcosa di simile.
La conquista della Persia, conclusasi nel 651, fece fare agli Arabi un enorme balzo culturale, che comprese anche l’apprendimento del gioco. La loro successiva espansione, spintasi fino alla Spagna e all’Italia Meridionale, portò gli scacchi dall’Oriente in Europa prima dell’anno 1000. Va detto che gli scacchi furono solo una minima parte del sapere che gli Arabi portarono in Occidente. Le loro conoscenze consistevano in avanzatissime nozioni di medicina, astronomia, agricoltura, filosofia, matematica, ecc., Avevano prodotto anche un fermento culturale che realizzò la traduzione in arabo delle più importanti opere delle civiltà passate greca, persiana, indiana (2).
(1) Davidson, H.A., A Short History of Chess, Greenberg 1949, in M.Leoncini, La Grande Storia degli Scacchi, LeDue Torri 2020.
(2) L’Occidente poi avrebbe recuperato tali opere, spesso perdute, ritraducendole dall’arabo.
In Europa
In Europa Occidentale gli scacchi, approdati nella Spagna meridionale e in Sicilia, si diffusero verso nord a macchia d’olio. Anche in Russia gli scacchi penetrarono seguendo la rotta commerciale per via d’acqua dal Mar Caspio lungo il Volga (3).
Nei Paesi europei il gioco non solo fu accolto nelle corti e nelle case dei nobili o dei ricchi (4), ma fu preso anche come soggetto di poemi epici o amorosi, nonché di trattati filosofici o moraleggianti, riproponendo la disputa fra fortuna e volontà.
Il più antico documento europeo sugli scacchi, il Versus de Scachis, poemetto in latino risalente a poco prima del 1000, è stato rinvenuto in Svizzera agli inizi dell’800. Nel breve testo compare per la prima volta la parola “scacchi” ed entra in gioco una figura femminile, la “Regina”, in sostituzione del Visir (consigliere o primo ministro), che fino ad allora era stato a fianco del Re. Vi si trova pure il primo riferimento alla scacchiera bicolore, chiaro e scuro. Tale modalità non esisteva né presso gli Indiani né presso i Persio-Arabi, che avevano tavolieri di un solo colore, suddivisi da linee orizzontali e verticali.
(3) In Russia tutti i pezzi hanno conservato il loro nome, meno il Ruch (carro, la nostra Torre), diventato Ladija (barca).
(4) Gli scacchi non avevano ancora le caratteristiche di gioco popolare, come sarà alcuni secoli dopo.
Gli scacchi moderni
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Nei tre secoli successivi, ‘500, ‘600 e ‘700, vengono stampati innumerevoli trattati del gioco, che, oltre a indicarne le origini, per lo più fantasiose, a volerne dare una definizione e a illustrarne le regole, si cimentarono nell’esercizio, veramente sorprendente per quei tempi, di indicare svariati modi di iniziare le partite [“ordinare il giuoco” (5)]. Una vera e propria teoria delle aperture ante litteram.
Nell’immagine di fianco, il primo libro stampato, di Luis Ramirez Lucena.
Il ‘700 fu un secolo che segnò un progresso determinante per gli scacchi, ma infelice per gli Italiani, che, ossequenti (non tutti) alle regole del “Trio Modenese” (6), si trovarono fino al 1880 isolati da tutti i progressi che intanto in Europa il gioco stava facendo.
Se in generale il “secolo dei lumi” cambiò per sempre il modo di essere e di pensare, anche gli scacchi non andarono esenti da questa rivoluzione. Gran parte del merito va attribuita a François-André Danican Philidor (7), il primo vero teorico moderno. La sua Analyse du jeu des échecs introdusse i concetti di strategia e tattica, pianificando il gioco attraverso obiettivi intermedi.
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L’Ottocento vide un massiccio approccio analitico con il gioco, i cui risultati erano poi riproposti nelle partite dei numerosi tornei che venivano organizzati sia a tavolino che per corrispondenza. Solo nella seconda metà del secolo il tentativo di trovare il migliore giocatore del mondo produsse una serie di matches fra i massimi scacchisti del tempo. Fra questi va citato l’americano Paul Morphy. Non avendo più avversari in America, venne Europa dove si misurò contro i più forti giocatori europei, riportando risultati trionfali. Finalmente il match Steinitz-Zukertort, giocato negli Stati Uniti nel 1866 e vinto da Wilhelm Steinitz, assegnò il primo titolo ufficiale di campione del mondo. Grazie a Steinitz nacque la Scuola Moderna, che divulgò il gioco posizionale e la difesa, ponendo fine al periodo romantico degli scacchi.
Nell’immagine di fianco, Wilhelm Steinitz (1836-1900).
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A fine secolo fu introdotto l’orologio degli scacchi, che diede alle partite un limite di tempo, che talvolta era diventato esageratamente lungo..
Nell’immagine di fianco, il primo orologio meccanico usato a Londra nel 1883.
Fra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 i giocatori danno vita a club o società scacchistiche (“Circoli”) specialmente nelle città più importanti. In Italia, inoltre, si tenta più volte di creare una federazione nazionale, finché nel 1920, a Varese, fra molte società italiane fu fondata la Federazione Scacchistica Italiana.
Anche in campo internazionale gli scacchi si diedero un’organizzazione. Nel 1924, nell’ambito dell’ Olimpiade di Parigi, quindici Paesi, fra cui l’Italia, fondarono la Fédération Internationale des Échecs (F.I.D.E.). Subito fu codificato il regolamento del gioco, comprendente le regole definitive del movimento dei pezzi. Oggi il gioco è diffuso in tutto il mondo. Il numero delle nazioni affiliate alla (F.I.D.E.) è quasi pari al calcio e, come il calcio, anche gli scacchi sono diventati uno sport vero e proprio.
L’avvento dell’informatica e del computer ha portato gli scacchi in un terreno nuovo. I programmi sempre più evoluti (8) danno al gioco un ”orizzonte visivo” più ampio in larghezza e in profondità. Vengono così recuperate varianti scartate dall’occhio umano, talvolta solo per motivi estetici. Di conseguenza, le innumerevoli partite che venivano giocate diedero uno sviluppo esponenziale alla teoria delle aperture. Ma la caratteristica più sorprendente è che ora il gioco dà minore importanza alle regole posizionali classiche per privilegiare l’efficacia dell’azione dei pezzi.
In conclusione, nonostante tutti i progressi scientifici intervenuti nel tempo, gli scacchi restano ora come nel passato un gioco sublime. Il conduttore di una partita, per quanto valente, si rende sempre conto dei suoi limiti: sa che le sue scelte, fatte nell’ambito di ciò che riesce a vedere, escludono tutto ciò che, pur presente sulla scacchiera, sfugge alla sua osservazione.
E questo non è anche oggi una configurazione dell’eterna lotta fra il sapere e l’ignoto?
(5) M.Gio.Domenico Tarsia, Il giuoco degli scacchi di Rui Lopez, Spagnuolo. C.Arrivabene, Venezia MDLXXXIIII.
(6) Le leggi del gioco all’italiana di Ercole De Rio, Giambattista Lolli e Domenico Ponziani imponevano: a) l’arrocco libero, b) l’esclusione della presa en passant, c) la promozione del pedone con un pezzo mancante dalla scacchiera.
(7) Philidor fu il più forte giocatore del Café de la Régence a Parigi e la sua Analyse ebbe una fortuna immediata.
(8) Il primo software scacchistico va attribuito ad Alan Turing, matematico inglese chiamato nella Seconda Guerra Mondiale a decrittare i messaggi in codice dei nazisti. La prima volta che una macchina, capace di far girare un programma, portò a termine una partita fu nel 1958.